Ecco qui un estratto da un articolo di Sergio
Romano comparso sul Corriere della Sera nel maggio 2001, nel quale esprime in
modo emblematico l’atteggiamento del milanese autentico verso il forestiero. È
stata questa maniera d’essere, a nostro giudizio, che ha fatto grande la
città e tanto ricca e varia la sua tradizione fin dai tempi più remoti… …compresa la bellissima tradizione musicale
popolare che in questo sito celebriamo. Ci associamo a chi ha saputo esprimerla tanto bene e ne riportiamo le parole: |
MILANESI
SI DIVENTA
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A un immigrato che mette piede a Milano per la
prima volta la città può sembrare indifferente, quasi ostile. Non è vero. Lo sono le città in cui forestiero
è tenuto a distanza o, peggio trattato con una cortesia fredda e scostante.
Ostili sono le città in cui lo straniero è tale anche quando ha imparato la
lingua, lavora, ha casa e famiglia. L'atteggiamento dei milanesi è diverso.
Sono bruchi, sbrigativi e pronti a irritarsi se gli altri non imparano
rapidamente le regole del gioco. Possono cedere qualche volta alla tentazione
di manifestare insofferenza per lo straniero o di gettargli addosso un epiteto ingiurioso.
Possono attribuire agli «extracomunitari», in un momento di paura o di
rabbia, le colpe e i reati di una piccola minoranza. Ma non sono
campanilisti, localisti, xenofobi. Il dialetto, le «radici», il folklore
meneghino, il patriottismo lombardo e padano sono una superstruttura retorica
di cui i milanesi fanno un uso moderato e ironico. A differenza di altre
città italiane Milano non è una patria etnica. E' uno stile di vita e lavoro. Volete diventare milanesi ? Nessuno vi chiederà di cambiare il colore della pelle, religione, abitudini famigliari e gastronomiche. Vi chiederanno di imparare il più rapidamente possibile le regole della convivenza milanese e di lavorare secondo il costume della città. Così Milano ha accolto i veneti, i pugliesi e i siciliani. Così accoglie e continuerà ad accogliere i marocchini, i filippini, gli albanesi. So che queste considerazioni possono sembrare troppo ottimistiche. A chi ha perduto una patria ed è alle prese ogni giorno con difficoltà economiche e ostacoli burocratici, Milano deve offrire migliori strutture e una maggiore assistenza. Ma non esiste città al mondo in cui l'integrazione non richieda pazienza, una straordinaria dose di buona volontà e il tempo necessario alla nascita di nuovi affetti, amicizie, consuetudini. Non appena i suoi figli andranno a scuola l'immigrato si accorgerà che la città gli appartiene. Sergio Romano |
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